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Nulla del tutto  nè più del bajardino Bobi Carletti nè
men di Ciapìno Girelli suo amico. E questi  del tempo
e della stampa mia  se era il bellissimo dell intero colle-
gio (grandi occhi azzurri, colorito di mela appiuola, dal
velluto di pesca) era anche il più disùtile, il più fracasso-
so& Fra noi, in verità, egli non si chiamava Girelli, no-
me della madre di lui, sibbene Pochetti; come tuttavìa il
nòbile dei due sembrava il primo  chè la mamma, trin-
ciando capriole (mo, perchè ridi, zio Cecco?) metteva
insieme migliaja di auree piastricine  così gliel affibbià-
vano colla spruzzaglia di sagrestia. Ed è per mamma che
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Carlo Alberto Pisani Dossi - L altrieri
il nostro Ciapino teneva nelle gambette l argento vivo: la
smania di dimergolare i chiodi dai panchi e di cifrare i
colli alle camicie de suoi condiscèpoli, per chi, non so&
Ciapino vinceva, con le diavolerie, mè e tutti; a lui im-
portava un càvolo l esprimere le proprie opinioni a voce
alta in iscuola, il russarvi, il regalare ai compagni, pre-
sente il direttore stesso, botte e spettinature. Quanto pe-
raltro a suòi studi, non ne era al corrente; sapeva di far
la terza  niente di più. E, ve , che caràttere! Se al mio
primo impancarmi, egli scrivèvami il seguente viglietto:
«TU!
«  Sta mezzanotte, io (che sono il mago) ti verrò a
prèndere col forcone; ti chiuderò in capponaja, ti farò
venir grasso, poi ti butterò in un caldaro  e ti man-
gerò&
il quale viglietto mi diè qualche apprensione, due
giorni dopo, com io andava in cerca di una penna d ac-
ciajo, egli, senza mèttervi su nè sale nè olio, mi rovesciò
dinanzi lo scatolino di Goro Sàiler il diligente, giuràn-
dosi per mio amicone e, in prova di questo  nè molto
stette  picchiò ben bene Pino Lamberti, che, motteg-
giando sulla mia confusa scrittura, dicèvala: brughiera di
Gallarate.
V.
In poche parole, buoni, i mièi nuovi compagni lo èra-
no& Alto là  stavo per mèttere tutti, il che sarebbe sta-
to bugìa. Tutti non lo èrano, buoni: ci avèa uno (uno so-
lo, peraltro; quel Daniele Izar ch or mi storceva la
lingua) il quale dava la volta alla non cattiva bottiglia.
Se adesso poi io vi presento questo Daniele come un
marmocchio costruito coi gòmiti, con un viso da trom-
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ba, non crediate già che lo faccia per convenzione, per
quella brutta ruffiana che t imbastisce in quattro agu-
gliate un lavoro e che qui scrive: tiranno (moda antica)
peloso più d una còtica, occhi injettati di sangue, sia
guercio e zòppichi  oppure  tiranno (moda odierna) il
«Falconiere» di Tranquillo Cremona  no, è puramente
perchè và rispettata l istoria.
E infatti  a voi. L avreste avuto forse per bello, per
simpàtico, un coso con due grosse e corte gambe, con
mani larghe al par di guanti da scherma; che vi mostrava
una faccia vizza, quadrata, lentiginosa, il color rosso di
cui si agglomerava ne mille bitorzoletti di un naso
schiacciato e la cui bocca mangiava quasi gli orecchi ?
un fanciullo che, conoscèndosi ricco, andava sopra di sè,
incamatito, arrogante? Si-i ?  Allora vi tolgo il saluto.
E, non miglior della crosta, il pasticcio.
Vizi ve ne son molti, ma alcuni non ribùttano affatto;
a mo d esempio, la superbia, la prodigalità& Ebbene,
quelli di Daniele èrano invece i più bassi, i più schifosi,
come la vendetta, l avarizia, l invidia.
Del resto, amici mièi, io voglio scusare il pòvero bim-
bo: a questo mondo, cattivi proprio, non vi si nasce, no.
Vi dirò dunque che la mamma di Daniele perdette la
vita nel darla a lui e che per questo, ei, strapazzato da
mani indifferenti, e pena e pena, sparse nella sua infan-
zia tutte le làgrime che gli èrano state concesse e fece il
callo al dolore. Quante volte, di notte, in quella stam-
berga in cui la crudeltà di un padre l avèa esigliato,
quante volte  nel mentre che il guàttero, suo compagno
di stanza, russava a spaventarne i sorci  Daniele, atterri-
to da un sogno angoscioso, svegliàvasi all improvvisa e,
sollevàndosi dal pagliericcio, poggiando al freddo muro
l accesa fronte, ascoltava con un trèmito, le avvinazzate [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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